La Corte di Cassazione con sentenza n. 6254 del 31 marzo 2016, si è espressa in ordine al licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato ad un lavoratore a seguito della soppressione della sua posizione lavorativa dovuta ad una ristrutturazione aziendale. Il Giudice di prime cure, aveva ritenuto violato l’obbligo di “repechage” poiché la società datrice di lavoro, faceva parte di un gruppo più ampio di imprese e, pertanto, avrebbe dovuto dimostrare l’incollocabilità del lavoratore in una delle posizioni equivalenti presenti presso un’altra società del gruppo.
I Giudici di legittimità, ribaltando la decisione dei Giudici di merito, hanno invece ribadito il principio giurisprudenziale secondo il quale, al fine di poter procedere ad una complessiva valutazione dei dipendenti di distinte società facenti parte di un gruppo di imprese, è necessario che sia fornita la prova dell’esistenza di un unico centro di imputazione giuridica dei rapporti e, pertanto, di un unico soggetto imprenditoriale; mentre il collegamento economico-funzionale tra imprese gestite da società del medesimo gruppo non è di per sé sufficiente a far ritenere che gli obblighi inerenti ad un rapporto di lavoro subordinato, formalmente intercorso fra un lavoratore ed una di esse, si debbano estendere anche all’altra.
Pertanto, secondo la Corte Suprema, l’obbligo del “repechage” va circoscritto alla verificabilità del reimpiego del lavoratore riferito al solo ambito proprio della società datrice di lavoro, senza far riferimento a società diverse, ancorché economicamente collegate tra loro nell’ambito di un gruppo.