Con sentenza n. 9635 dell’11 maggio 2016, la Corte di Cassazione ha ritenuto che la nozione di insubordinazione non è limitata al rifiuto di adempiere alle disposizioni dei superiori, ma si estende anche ad ogni condotta volta a pregiudicarne l’esecuzione nell’ambito dell’organizzazione societaria. Conseguentemente, ad avviso della Suprema Corte, la critica rivolta ai superiori gerarchici, secondo modalità esorbitanti dai limiti di tono, forma e contenuto reca danno all’efficienza aziendale; infatti, secondo i Giudici di legittimità, l’autorevolezza dei superiori gerarchici risente un pregiudizio se il lavoratore, con toni ingiuriosi, attribuisca ai medesimi superiori qualità manifestamente disonorevoli.
Alla luce di tali principi, la Suprema Corte ha riconosciuto la legittimità del licenziamento per giusta causa irrogato nei confronti di un lavoratore che aveva utilizzato espressioni ingiuriose nei confronti del proprio superiore, ritenendo integrati gli estremi dell’insubordinazione.
Sempre in tema di licenziamento per giusta causa per insubordinazione, la Suprema Corte, con sentenza n. 8236 del 26 aprile 2016, in senso diametralmente opposto, ha stabilito che la nozione di insubordinazione è ristretta alla condotta di chi rifiuti di ottemperare ad una direttiva o ad un ordine, giustificato e legittimo, ovvero di svolgere una diversa attività o un diverso compito.