La Corte di Cassazione, con sentenza n. 8253 del 26 aprile 2016, ha ribadito il principio secondo cui l’indennità di vacanza contrattuale è un emolumento di natura eccezionale la cui finalità è quella di consentire alla parte più debole del rapporto di lavoro di non rimanere vittima dell’incremento del costo della vita nelle more dei rinnovi contrattuali, ma solo in via provvisoria; essa, pertanto, cessa con il rinnovo del contratto medesimo.
In applicazione di tale principio, la Suprema Corte, confermando la decisione dei Giudici di merito, ha rigettato il ricorso proposto da un lavoratore che pretendeva il diritto a tale indennità per un determinato periodo, stante il tardivo rinnovo contrattuale. In particolare, i giudici di legittimità hanno negato la debenza dell’indennità di vacanza contrattuale al lavoratore, poiché il contratto collettivo rinnovato aveva disposto l’adeguamento salariale in melius con effetto retroattivo. In altri termini, la Suprema Corte ha precisato che l’indennità di vacanza è un’anticipazione dei miglioramenti salariali che potrebbero essere disposti dal nuovo contratto collettivo; qualora quest’ultimo disponga adeguamenti salariali in melius, questi vanno automaticamente ad aumentare la retribuzione prevista precedentemente, senza che ciò comporti un cumulo tra il trattamento migliorativo e l’indennità di vacanza. In ragione di ciò, la Corte Suprema ha concluso che il lavoratore non aveva alcun diritto di percepire l’indennità di vacanza contrattuale, in quanto – in un secondo momento – gli era stato versato un adeguamento salariale anche per le retribuzioni maturate e percepite nelle more del rinnovo del contratto collettivo.