La Corte di Cassazione, con sentenza n. 6054 del 29 marzo 2016, ha ribadito il principio secondo cui, le somme erogate in favore del lavoratore ai sensi dell’art. 18 St. lav. (nel testo anteriore alle modifiche apportate dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 42, applicabile nella fattispecie “ratione temporis”) sono giustificate dall’obbligo risarcitorio derivante dall’illegittimità del licenziamento e non già dall’inosservanza del datore di lavoro all’ordine giudiziale di reintegra. Per tali motivi, tali somme devono considerarsi ripetibili in ogni caso in cui il provvedimento giudiziale che ha accertato l’illegittimità del licenziamento sia stato successivamente riformato, ivi compreso il caso di un provvedimento d’urgenza “ante causam” successivamente revocato dalla sentenza di merito che accerti la legittimità del recesso, senza che assuma rilievo al riguardo l’offerta da parte del lavoratore della propria prestazione.
In ogni modo, la Corte Suprema ha precisato che “la ripetibilità va esclusa qualora all’ordine di reintegra segua l’effettiva ripresa dell’attività lavorativa, giacché in tal caso opera la salvezza del precetto posta in forma generale dall’art. 2126 c.c. per ogni ipotesi di prestazione lavorativa in violazione di legge”.
I Giudici di legittimità hanno, quindi, sottolineato che non è la mera offerta della prestazione lavorativa successiva all’ordine di reintegra (poi riformato) a poter mutare il titolo della corresponsione da risarcitorio a retributivo, ma solo l’effettiva ripresa dell’attività lavorativa. In altri termini, il vero “discrimen” è costituito dal dato oggettivo della resa della prestazione lavorativa che giustifica l’erogazione della retribuzione, in ottemperanza al principio di sinallagmaticità tra lavoro e compenso.