La Corte di Cassazione, con sentenza n. 24648 del 3 dicembre 2015, ha statuito la nullità del licenziamento intimato per giusta causa nei confronti di un lavoratore individuando nello stesso provvedimento espulsivo addirittura profili discriminatori e ritorsivi.
Nel caso di specie, un dipendente era stato licenziato dalla società in cui lavorava per aver predisposto e consegnato ad uno dei consiglieri di amministrazione, “su sua richiesta“, una relazione contenente accuse di infedeltà patrimoniale e critiche all’operato dei vertici della società, ritenute, ai fini del licenziamento, false e gravemente denigratorie.
I Giudici di legittimità hanno precisato che non era ravvisabile nel caso “de quo” una giusta causa di licenziamento, data la estrema limitatezza del contenuto denigratorio della relazione, rientrando molte parti nell’esercizio del legittimo diritto di critica ed essendo i passaggi più negativi, generici e privi di riferimenti a nominativi precisi, ravvisando, invece, nella fattispecie un recesso datoriale ritorsivo da considerarsi nullo; infatti, ad avviso della Corte, richiamando la giurisprudenza unanime, il licenziamento per ritorsione è assimilabile a quello discriminatorio e costituisce un’ingiusta ed arbitraria reazione ad un comportamento legittimo del lavoratore colpito, cui consegue la nullità del licenziamento quando il motivo ritorsivo sia stato l’unico determinante.