Con sentenza n. 22410 del 3 novembre 2015, la Suprema Corte ha ribadito il recente orientamento di legittimità espresso dalle Sezioni Unite secondo cui “in caso di licenziamento illegittimo, ove il lavoratore, nel regime della cosiddetta tutela reale (…), opti per l’indennità sostitutiva della reintegrazione, avvalendosi della facoltà prevista dall’art. 18, comma 5, L. n. 300/1970, il rapporto di lavoro, con la comunicazione al datore di lavoro di tale scelta, si estingue senza che debba intervenire il pagamento dell’indennità stessa e senza che permanga – per il periodo successivo in cui la prestazione lavorativa non è dovuta dal lavoratore nè può essere pretesa dal datore di lavoro – alcun obbligo retributivo. Ne consegue che l’obbligo avente ad oggetto il pagamento della suddetta indennità è soggetto alla disciplina della “mora debendi” in caso di inadempimento, o ritardo nell’adempimento, delle obbligazioni pecuniarie del datore di lavoro, con applicazione dell’art. 429 c.p.c., comma 3, salva la prova, di cui è onerato il lavoratore, di un danno ulteriore”.
Nel caso di specie, un dipendente comunale aveva esercitato il diritto di opzione a fronte della statuizione di illegittimità del licenziamento intimatogli, avvenuta in sede giudiziale, con conseguente diritto alla reintegra, ottenuta a definizione del primo grado di giudizio. I Giudici di legittimità hanno spiegato come, in queste fattispecie, il lavoratore abbia diritto a titolo risarcitorio alle sole mensilità maturate dalla data del licenziamento sino alla comunicazione della scelta, tant’è che un eventuale inadempimento da parte del debitore (datore di lavoro) comporterebbe la maturazione degli interessi legali e non la debenza di ulteriori mensilità di retribuzione.