Fatto contestato al lavoratore e licenziamento disciplinare

La Corte di Cassazione, con sentenza del 13 ottobre 2015 n. 20545, è intervenuta in merito ad un licenziamento disciplinare intimato per giusta causa da un’azienda telefonica nei confronti di un dipendente con riferimento ad un comportamento che, secondo il CCNL di settore, comportava il licenziamento per fatti arrecanti all’azienda “grave nocumento morale o materiale”.

In particolare, i Giudici di legittimità, rilevando che la Corte di appello non avesse proceduto ad un accertamento dei fatti costituenti il grave nocumento morale o materiale e ciò nonostante li avesse ritenuti “provati a sufficienza”, ha cassato con rinvio la sentenza impugnata ed ha precisato che “tale nocumento grave è parte integrante della fattispecie di illecito disciplinare in questione onde l’accertamento della sua mancanza determina quella insussistenza del fatto addebitato al lavoratore, prevista dall’articolo 18, legge 300 del 1970, mod. dall’articolo 1, comma 42, legge 28 giugno 2012, n. 92, quale elemento costitutivo del diritto al ripristino del rapporto di lavoro. Questo elemento deve infatti considerarsi esistente qualora la fattispecie di illecito configurata dalla legge o dal contratto sia realizzata soltanto in parte”.

In altre parole, ad avviso della Corte di Cassazione, qualora il fatto contestato dal datore di lavoro si riferisca ad una specifica fattispecie di illecito disciplinare, prevista dal contratto collettivo o dalla legge, – ferma l’indagine sulla sussistenza del fatto nella sua materialità – la fattispecie assume rilievo, imponendo che tutti gli elementi costitutivi di essa debbano essere riscontrati nel caso concreto (quindi provati dal datore di lavoro), pena l’insussistenza del fatto contestato. Pertanto, nel caso in esame, la prova solo della condotta, ma non del grave nocumento, dando luogo ad insussistenza del fatto contestato, determinava l’applicazione della tutela reintegratoria di cui all’art. 18, comma 4, stat. lav., come novellato dalla Riforma Fornero.

A conclusioni simili La Suprema Corte è pervenuta anche con la pronuncia n. 20540/2015, laddove ha chiarito che la sanzione della reintegrazione di cui al novellato art. 18, c. 4 stat. Lav. si applica nelle ipotesi in cui il fatto materiale contestato, seppure sussistente, si sia rilevato privo del carattere della illiceità, ossia non suscettibile di alcuna sanzione e, quindi, irrilevante dal punto di vista giuridico.

Per evitare l’applicazione della sanzione della reintegrazione, è necessario, dunque, provare che i fatti contestati al lavoratore non solo siano veri nella loro materialità, ma anche illeciti nella loro valutazione oggettiva e soggettiva; ad avviso della Suprema Corte, infatti, “la completa irrilevanza giuridica del fatto equivale alla sua insussistenza materiale e dà perciò luogo alla reintegrazione ai sensi dell’art. 18, 4 c.”.