La Corte di Cassazione, con sentenza del 14 maggio 2015, n. 9900, ha affermato la legittimità del licenziamento disciplinare intimato dal datore di lavoro ad un dipendente, responsabile di aver cancellato documenti di lavoro dal suo computer, ivi compresa la corrispondenza elettronica. Rigettando il ricorso proposto dal lavoratore, la Suprema Corte ha, così, confermato la decisione della Corte territoriale: in particolare, la condotta del dipendente rientrava nelle disposizioni contrattuali collettive, applicabili al caso di specie, che prevedono la sanzione del licenziamento del lavoratore, “in caso di grave violazione dell’obbligo di conservare diligentemente le merci e materiali dell’impresa”.
Inoltre, in termini di gravità era da considerare il rilievo penale della condotta ascritta al lavoratore, sotto la specie del reato di danneggiamento di dati informatici di cui all’art. 635 bis c.p., il quale “deve ritenersi integrato anche quando la manomissione ed alterazione dello stato di un computer sono rimediabili soltanto attraverso un intervento recuperatorio postumo comunque non reintegrativo dell’originaria configurazione dell’ambiente di lavoro” (nel caso di specie, il datore di lavoro aveva recuperato solo parte dei files cancellati attraverso il back up).