La Suprema Corte, con la sentenza n. 13 del 5 gennaio 2015, ha statuito che le contestazioni disciplinari a carico del lavoratore vanno valutate in modo autonomo e con criteri diversi rispetto a quelli applicabili per eventuali imputazioni in sede penale. Da ciò deriva, quindi, che la contestazione dell’addebito disciplinare non è assimilabile alla formulazione dell’accusa nel processo penale, assolvendo esclusivamente alla funzione di consentire al lavoratore incolpato di esercitare pienamente il proprio diritto di difesa.
Pertanto, pur se in sede penale sia stata emessa in favore del lavoratore una sentenza irrevocabile di assoluzione per un reato (nella specie, abusivo impossessamento di beni aziendali), non è escluso che gli stessi fatti, pur rivelatisi non decisivi per la configurazione del reato, possano conservare una loro rilevanza ai fini civilistici (nella specie, ai fini del licenziamento).