Nell’ambito di una controversia originata dai provvedimenti dell’Inps di revoca del beneficio dell’indennità di mobilità e di cancellazione dalle relative liste, oltre che di recupero di somme erogate a tale titolo ai danni di un lavoratore che non aveva comunicato, nel termine di 5 giorni, l’inizio della sua attività di amministratore di società di capitali, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20826 del 2 ottobre 2014, ha chiarito che lo svolgimento di una attività lavorativa autonoma, come nella specie quella di collaborazione coordinata e continuativa, “suscettibile di redditività, fa cessare lo stato di bisogno connesso alla disoccupazione involontaria e comporta il venire meno tanto del diritto all’indennità di disoccupazione quanto del diritto all’indennità di mobilità”.
Secondo la Suprema Corte, inoltre, la previsione di cui all’art. 7, co. 5, L. n. 223/1991 che permette al lavoratore, che intenda intraprendere un’attività autonoma o associarsi in cooperativa, di richiedere la corresponsione anticipata dell’indennità di mobilità, non permette di configurare tout court una compatibilità tra il diritto alla suddetta indennità ed il contestuale svolgimento di lavoro autonomo, riguardando tale disposizione solo la modalità di erogazione della prestazione (in un’unica soluzione anticipata, anziché con periodicità mensile), non già il diritto alla sua corresponsione.
In tal caso, infatti, l’indennità di mobilità “perde la connotazione tipica – che le è propria – di prestazione di sicurezza sociale, per assumere la natura di contributo finanziario, destinato a sopperire alle spese iniziali di un’attività che il lavoratore in mobilità svolgerà in proprio”.