Con sentenza n. 22289 del 21 ottobre 2014, la Suprema Corte, riformando la sentenza di appello che aveva ritenuto valido un contratto di lavoro a progetto solo perché era stato formulato correttamente, nel relativo testo contrattuale, il riferimento a tale tipologia contrattuale ed al relativo regime normativo, senza però tenere conto delle concrete modalità di svolgimento dello stesso, ha statuito che “il “nomen iuris” non costituisce un fattore assorbente, rilevandosi, invece, necessaria la disamina del comportamento delle parti posteriore alla conclusione del contratto per l’accertamento di una nuova diversa volontà eventualmente intervenuta nel corso dell’attuazione del rapporto e diretta a modificare talora la stessa natura del rapporto inizialmente prevista (v. ad es. Cass. Sez. lav. n. 15922 del 25/6/2013)”.